29 Giugno 2020

La “cintura di castità” e il diritto di prelazione

La “cintura di castità” e il diritto di prelazione

In una sua recente sentenza, la N. 13368, sez. III, del 01/12/2017, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di quella che è stata definita la “cintura di castità” nella prelazione agraria.

Il caso era quello di una vendita di un fondo che, per eludere il diritto di prelazione del confinante, era stato frazionato creando una fascia di terreno tra i fondi di proprietà del venditore e di proprietà del confinante in modo che non vi fosse più quella fisica vicinanza dei due terreni, requisito necessario per l’esercizio del diritto di prelazione.

La Suprema Corte ha anzitutto affermato che è diritto del proprietario di un appezzamento di terreno procedere al frazionamento e alla vendita frazionata, anche se ciò significa limitare il diritto di prelazione del proprietario coltivatore diretto del fondo confinante alla sola porzione di fondo che, dopo il frazionamento, rimanga materialmente contigua al suo fondo.

Specifica la Corte che in linea generale non è vietato un frazionamento che escluda parzialmente dal diritto di prelazione il confinante. Questa operazione è quindi di per sé lecita anche se il frazionamento abbia come conseguenza la possibilità di sfruttamento dei fondi meno razionale che non la conduzione dell’intero originario compendio e ciò peggiori le possibilità di coltivazione.

Questa possibilità, dice la stessa Cassazione, ha però un limite: se la fascia di terreno nata da frazionamento e che si frappone tra i due fondi “ … per le sue caratteristiche, sia destinata a rimanere sterile e incolta o sia, comunque inidonea a qualsiasi sfruttamento coltivo autonomo, sì che possa concludersi che la porzione non ceduta è priva di qualsiasi utilità per l’alienante” in questo caso il proprietario confinante manterrà il suo diritto ad esercitare la prelazione sull’intero compendio posto in vendita.

E’ principio generale che la vendita frazionata non sia consentita qualora il fondo costituisca una unica unità colturale che si verrebbe a distruggere con la vendita frazionata. In questo caso l’avente diritto alla prelazione mantiene il diritto ad esercitare la prelazione sull’intero fondo confinante. Al fine della prelazione e del riscatto agrario, ai sensi delle L. 26 maggio 1956, n. 590 e L. 14 agosto 1971, n. 817, per “fondo” deve infatti intendersi un’estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva. Ne consegue che, nel caso di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con un fondo appartenente a coltivatore diretto, per stabilire se il diritto di prelazione debba essere esercitato in relazione a tutti i terreni oggetto della vendita, ovvero soltanto a quelli a confine con la proprietà dell’avente diritto alla prelazione, si deve accertare se quelli costituiscono un’unità poderale oppure un insieme di porzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive. In questo secondo caso la prelazione può esercitarsi con esclusivo riferimento a quelle porzioni confinanti con il fondo del coltivatore diretto.

Per lo stesso principio, dice la Cassazione, la vendita frazionata è illegittima quando le modalità del frazionamento, fatto in occasione della vendita, siano tali da privare di autonoma utilizzabilità economica la striscia di confine residua, in quanto in tal caso essa avrebbe lo scopo o verrebbe comunque di fatto a vanificare, sopprimendo l’utilità economica dell’appezzamento confinante (creato ad hoc), il diritto di prelazione

Nella recente sentenza citata la Corte di Cassazione, fatte queste premesse, giunge ad affermare (riaffermare) il principio secondo il quale “…in materia di contratti agrari, il diritto di prelazione in favore del proprietario confinante con quello venduto, di cui all’articolo 7, secondo comma, della legge 817/1971, sussiste anche nell’ipotesi in cui, in occasione dell’alienazione, siano creati artificiosi diaframmi al fine di eliminare il requisito della confinanza fisica tra i suoli, onde precludere l’esercizio del diritto di prelazione. Allo scopo, non è sufficiente che una porzione di fondo sia stata riservata alla parte alienante esclusivamente al fine di evitare il sorgere del diritto di prelazione o che lo sfruttamento dei fondi, risultati dalla divisione, sia meno razionale che non la conduzione dell’intero, originario complesso, ma è indispensabile che la porzione costituente la fascia confinaria, per le sue caratteristiche, sia destinata a rimanere sterile e incolta o sia, comunque inidonea a qualsiasi sfruttamento coltivo autonomo, sì che possa concludersi che la porzione non ceduta è priva di qualsiasi utilità per l’alienante.”

Avvocato Andrea Callegari