29 Maggio 2024

Divisibilita’ e indivisibilita’ dei beni condominiali

INTRODUZIONE

1) IL REGIME DELLA PROPRIETA’
Il regime di proprietà trova, nel ns. sistema, oltre a quella singola (art. 832 cc) e quella comune (art. 1100 c.c. e segg.). Si tratta, quindi, nel primo caso del bene singolo in proprietà ad una sola persona, nel secondo caso in proprietà a più persone. Tale sistema di comunione, ha una sua specifica regolamentazione attesa, tra l’altro, la diffusione, l’importanza e l’impatto sociale ed economico della stessa.
Ne consegue una complessa ed articolata regolamentazione che si sovrappone a quella della proprietà singola. In particolare, quindi, vengono dettate regole per:
• la disposizione della quota;
• la cessione;
• la contribuzione alle spese;
• la rinuncia al diritto;
• al regime di solidarietà per le spese;
• all’amministrazione improntata al solo valore della quota;
• alle decisioni a maggioranza;
• alla sola preventiva informativa dei partecipanti dell’oggetto delle delibere;
• alla nomina dell’amministratore e regolamento come ipotesi facoltative;
• al regime delle innovazioni;
• all’impugnazioni delle decisioni gestionali;
• al rimborso spese.
In particolare, ai fini che qui interessano, viene anche disposto il regime “dello scioglimento della comunione” che conosce alcuni limiti in relazione: ai beni non soggetti a divisione, all’intervento ed opposizione dei creditori, alla divisione in natura.

2) COMUNIONE VS CONDOMINIO
Il condominio rappresenta una sorta di evoluzione del regime di proprietà comune.
a) comunione A ben guardare, infatti, emerge come il regime di proprietà comune sia considerato sotto un profilo:
• statico,
• oggettivo
• nella sua naturale consistenza.
Ciò emerge, particolarmente, proprio in relazione al regime di scioglimento (art. 1111 cc). Lo stesso, infatti, viene previsto a contrario nel senso che vengono individuate le ipotesi che incidono sulla libertà dello scioglimento medesimo fermo il presupposto per cui i partecipanti possono sempre richiedere la divisione.
I limiti sono quelli per cui:
• l’autorità giudiziaria potrà stabilire una congrua dilazione non superiore a 5 anni nel caso di pregiudizio agli interessi degli altri comproprietari;
• non si potrà prevedere un termine superiore ai 10 anni quale obbligo di rimanere in comunione;
• lo scioglimento non si potrà ottenere nel caso in cui i beni cessino di servire all’uso a cui sono destinati (art. 1112 cc).
Inoltre, vista l’estensione alla comunione delle norme sulla divisione ereditaria (art. 1116 cc), vi sono gli ulteriori limiti rappresentati da:
• immobile non comodamente divisibile, pregiudizio alle ragioni della pubblica economia, dell’igiene nel caso assegnazione per intero con conguaglio o vendita (art 720 cc);
• all’interesse della produzione nazionale (art. 722 cc).
Dalla sintetica esposizione si evidenzia come, la comunione, sia sottoposta al generale principio di SCIOGLIMENTO / DIVISIBILITA’ che l’ordinamento accorda a tale istituto.
b) condominio Rispetto alla comunione il condominio si pone, certamente, come forma di comunione “sui generis” caratterizzata: dalla proprietà esclusiva e da proprietà comuni considerate, a differenza che nella comunione, sotto un profilo:
• dinamico;
• necessario
Ciò che caratterizza il condominio, infatti, che è considerato “una comunione sui generis”, sta nel rapporto fra:
• beni esclusivi privati;
• le altre parti dell’edificio necessariamente comuni per l’utilizzo delle unità singole;
• si tratta, nel caso, di tutte le parti che, ancorché, in via non esaustiva, sono elencate nell’art. 1117 cc.
Va da sè che si tratta di strutture che non hanno una loro esclusiva oggettività o autonomia. Ciò nel senso di poter essere considerate singolarmente rispetto al complesso condominiale. Si tratta, come recita il citato art. 1117 cc, dei muri maestri, pilastri del tetto, delle fondazioni, delle facciate, delle scale, …..
Si evidenzia, quindi e da subito, il principio di sostanziale INDIVISIBILITÀ a cui sono soggette le strutture destinate ad un uso o utilità a favore degli immobili dei singoli proprietari delle unità esclusive.

3) INDIVISIBILITA’ CONDOMINIALE
Venendo all’argomento che ci occupa, quindi, dobbiamo considerare il regime relativo alla possibile divisione o meno delle parti comuni condominiali.
Abbiamo visto, già nei tratti iniziali del presente intervento, come nella comunione viga il generale principio di divisibilità/scioglimento che, anche qui come anticipato, conosce alcuni sistemi ostativi elencati nel precedente punto 2a).
Nel condominio, al contrario, vige il principio di indivisibilità (1119 c.c.).
La disposizione è stata oggetto della novella del 2012.
L’originaria formulazione, infatti, prevedeva che:
“Le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino”.
La maggiore o minore comodità è stata definita come:
• “ … alla valutazione della maggiore o minore (comodità) dell’uso della cosa comune per effetto della divisione. Sul punto mette conto richiamare il consolidato indirizzo di legittimità secondo cui “in tema di condominio di edifici, poiché l’uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso cui fa riferimento l’art. 1119 c.c. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata oltre che con riferimento alla originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione (nella specie il progetto di divisione di una terrazza comune avrebbe privato il condominio assegnatario di una porzione, della veduta sul mare consentitagli nella permanenza dello stato di indivisione). … ” (Cass. 7667/1995; Cass. 867/2012).
La giurisprudenza ha, poi, interpretato la norma nel senso che la divisione non è consentita allorché per attuarla si renda necessaria una spesa sproporzionata rispetto al valore della cosa (T. Padova 21.03.1986).
• La norma dell’art. 1111 cc., secondo la quale, in presenza di una domanda di scioglimento di una comunione, il giudice può concedere una dilazione alla divisione nel caso che questa possa recare “pregiudizio agli interessi degli altri” compartecipanti, deve essere intesa nel senso che il pregiudizio (incomodità, ndr) non possa ravvisarsi nella lesione dell’interesse dei singoli partecipanti a conservare posizioni personali di vantaggio, ma che debba ravvisarsi obbiettivamente, nel pregiudizio a tutti i condomini, nell’interesse obiettivo della comunione” (Cass. 36401/22)
La novella ha integrato la citata disposizione di cui all’art. 1119 cc prevedendo in aggiunta al testo sopra riportato : “… e con il consenso di tutti i partecipanti.”.
Sul punto e sulla interpretazione da dare all’attuazione e significato dei due presupposti (incomodità/unanimità del consenso) vi è un forte dibattito.
La dottrina più accreditata sostiene il “rafforzamento” della indivisibilità rispetto alla precedente disciplina.

Sul punto vedasi: “CODICE DEL CONDOMINIO”, Lazzaro, Di Marzio, Petrolati, Giuffrè, 2014, pag. 92; “IL CONDOMINIO NEGLI EDIFICI”, Celeste e Scarpa, Giuffrè, 2017, pag. da 285 a 292; “ IL NUOVO CONDOMINIO”, a cura di Roberto Triola, Giappichelli, 2017, pag. 64 e segg. In particolare, testualmente da quest’ultimo:
“…Nella formulazione originaria dell’art. 1119 c.c., però, l’uso più incomodo delle parti comuni a ciascun condomino costituiva un limite per il giudice per potere procedere alla divisione, che invece era valida ove conclusa con il consenso unanime dei condomini; in base alla nuova formulazione, invece, poiché è esclusa la possibilità di una divisione giudiziale, il condomino può far valere la nullità di una divisione per la quale abbia dato il suo consenso ove ciò comporti per lui un uso più incomodo…”.
Anche la giurisprudenza è orientata in tal senso:
“In tema di divisione di beni comuni, gli artt. 1119 e 1112 c.c. hanno una “ratio” diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor “favor” del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell’unanimità e (nel senso congiuntivo, non “o” nel senso alternativo, ndr) la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un’eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall’art. 1111 c.c., tutela la destinazione d’uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso cui è stato destinato.” (Cass. 4014/2020).

Nonché altra decisione di identico contenuto:
“Con ferimento alla materia della divisione di beni comuni, gli articoli 1119 e 1112 del Cc hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minore favor del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un’eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall’articolo 1111 del Cc, tutela la destinazione d’uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso cui è stato destinato.” (Cass. 4840/2021).

A fronte di tale orientamento, tuttavia, il supremo collegio si è espresso anche in un diverso senso:
“L’art. 1119 c.c., nel nuovo testo come modificato dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, art. 4, va interpretato nel senso che “le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione”, a meno che – per la divisione giudiziaria – “la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino” e – per la divisione volontaria – a meno che non sia concluso contratto che riporti, in scrittura privata o atto pubblico, il “consenso di tutti i partecipanti al condominio” (quest’ultimo requisito non essendo richiesto per la divisione giudiziaria). Tale interpretazione è l’unica che consente di osservare il significato letterale del testo (pur tenendo conto della sua redazione in due fasi temporali, e con un’indubbia difficoltà quanto al significato della congiunzione “e”) e, a un tempo, garantire la coerenza logica del sistema” (Cass. 26041/19).

In pratica vengono inseriti, nella disposizione in oggetto, i presupposti di divisione giudiziale e volontaria da utilizzare in via autonoma atteso che l’uso della congiunzione “e” deve intendersi non congiuntiva ma disgiuntiva.
Allo stato, pertanto, paiono delinearsi due ipotesi frontali l’una all’altra. Da una parte il vincolo della unanimità nella decisione di dividere il bene e della contestuale esclusione che la divisione comporti un uso incomodo. Non sorprenda il fatto che il legislatore, anche di fronte ad una unanimità dei consensi, vieti l’assunzione della decisione. L’ordinamento, infatti, come abbiamo già evidenziato, conosce altre ipotesi che vietano, comunque, la divisione in presenza di determinate situazioni: l’interesse della produzione nazionale, alla pubblica economia, all’igiene il tutto come previsto dagli artt. 720 e 722 cc.
L’altra ipotesi è quella per cui con la divisione giudiziale, qualora non vi sia incomodità, una volta diviso il bene, il bene può essere diviso oppure quando vi sia una unanimità dei consensi.

Relazione del 05 ottobre 2023, in Roma, all’evento Forum Amministrare
avv. Ladislao Kowalski – coord. Centro Studi Giuridici UPPI