Posso vendere un immobile abusivo?
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 8230 del 22 marzo 2019) hanno risolto il contrasto giurisprudenziale (e non solo!) sorto in ordine alla portata della nullità degli atti aventi ad oggetto un immobile abusivo.
La Suprema Corte ha ritenuto nulli solamente gli atti nei quali manchino totalmente, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del titolo abilitativo in forza del quale è stato realizzato il fabbricato oggetto dell’atto; conseguentemente ha ritenuto perfettamente validi i trasferimenti immobiliari mediate negozi nei quali siano riportati i sopra citati estremi seppur il fabbricato, in concreto, possa essere stato costruito in totale o parziale difformità dal titolo abilitativo.
È stata quindi superata la distinzione tra variazioni essenziali e non essenziali rispetto al titolo per individuare il discrimine tra atti affetti da nullità o meno e quindi tra immobili astrattamente commerciabili e non commerciabili.
La Cassazione ha avuto il pregio di evidenziare le complicazioni nascenti dall’applicare il principio distintivo tra varianti essenziali e non, poiché, all’atto pratico, era piuttosto labile il confine oggettivo tra abuso maggiore, determinante l’incommerciabilità dell’immobile, oppure abuso minore che consente all’immobile di circolare.
Il principio di diritto è ora chiaro, la norma urbanistica prevede ipotesi di nullità solo formale ai sensi dell’art. 1418, 3° comma c.c. e non sostanziale, poiché ogniqualvolta il legislatore impone dei divieti alla libera circolazione dei beni, questi devono essere interpretati restrittivamente e non in via analogica.
Il fabbricato sarà pertanto incommerciabile e il relativo atto di trasferimento nullo qualora Il venditore non dichiari in atto il titolo abilitativo alla realizzazione dell’immobile che intende alienare, riportando con precisione gli estremi completi del titolo stesso, oppure qualora Il venditore dichiari che l’immobile è stato costruito in forza di un titolo inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto.
I Giudici non hanno mancato di evidenziare come un simile approccio potrebbe, in astratto, svilire la lotta all’abusivismo edilizio. Infatti il trasferimento sarebbe valido all’unica condizione che il venditore dichiari gli estremi del titolo in forza del quale è stato edificato l’immobile, anche se poi dovesse accertarsi che il manufatto è stato realizzato in maniera difforme rispetto a quanto autorizzato.
La Suprema Corte ha tuttavia precisato che la lotta all’abusivismo non deve perseguirsi con la comminatoria della nullità degli atti aventi ad oggetto fabbricati realizzati in difformità dal titolo poiché ciò comporterebbe una inammissibile e non prevista limitazione alla compravendita immobiliare.
Concludendo, le Sezioni Unite, hanno così affermato il seguente principio: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.“. Pertanto “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato“.
Avvocato Stefano Fedel