
Il canone dell’affitto agrario pro quota
L’articolo 45 della legge n. 203 del 1982 vieta i contratti di mezzadria, colonia parziaria e compartecipazione, permettendo solo contratti di affitto agrario per la concessione di fondi agricoli. La Corte di Cassazione ha chiarito che, per distinguere l’affitto dal rapporto associativo, bisogna considerare il rischio d’impresa, che comprende tutte le spese e le perdite della gestione, e non solo le oscillazioni della produzione del fondo (Cassazione civile, sez. III, n. 5316 del 29.10.1985).
Nella colonia parziaria, concedente e colono collaborano per coltivare il fondo e dividere i prodotti o il ricavato della loro vendita, con il colono sotto la sorveglianza del concedente. Nell’affitto, l’imprenditore agricolo è il conduttore, che gestisce il fondo autonomamente e si assume il rischio d’impresa, rispettando solo la destinazione originaria del fondo (Cassazione civile, sez. III, 12.12.1994, n. 10601).
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 203, è stata discussa la possibilità di pagare il canone con una quota del prodotto anziché in denaro. La giurisprudenza ha stabilito che il canone può consistere in utilità diverse dal denaro, purché siano determinate o determinabili economicamente e obbligatorie. Una sentenza del 2008 ha confermato che le parti possono prevedere che il canone sia pagato in parte in misura fissa e in parte in rapporto ai risultati dello sfruttamento del terreno (Cassazione civile, n. 2370 del 16.09.2008).
In sintesi, il contratto di affitto agrario permette il pagamento del canone in forme diverse dal denaro, purché rispettino i requisiti di determinatezza e obbligatorietà, e il conduttore gestisce autonomamente il fondo, assumendosi il rischio d’impresa.
Avvocato Andrea Callegari